Carissimi, anche noi rendiamo grazie a Dio a motivo della grazia che ci è stata data in Cristo Gesù: quella di credere in lui, di attenderlo nella vigilanza, quella del tempo forte che inizia questa domenica per essere attenti a noi stessi.

È bello essere vigilanti, cioè presenti a noi stessi, alla nostra vita. Essere vigilanti non è mai un peso, ma è la gioia di un incontro; un appuntamento irrinunciabile con Colui che ci stimola sempre di più ad essere santi, a ricominciare da capo come semplici neofiti che hanno appena ricevuto il battesimo.

Oggi l’annuncio della venuta del Signore e il comando della vigilanza c’interrogano sul nostro rapporto con il tempo: un rapporto molte volte problematico e, a volte, drammatico perché il tempo ci sfugge, non abbiamo più tempo per noi stessi e per gli altri; oppure un tempo perso: alcuni non sanno come ammazzare il tempo, non sanno come utilizzare il tempo a loro favore e per il bene altrui; viene semplicemente ridotto a un vivere alla giornata senza alcuno scopo, svegliandosi al mattino con l’angoscia di trascorrere una lunga giornata e non sapere che cosa fare. Il tempo, da sinonimo di speranza, attesa, fiducia è diventato sinonimo di minaccia. Sicché suscita paura, turbamento, ripiegamento su di sé.

Vigilare significa avere i sensi svegli, essere presenti a noi stessi, agli altri e a Dio; significa aderire alla realtà e riconoscere prima di tutto il nostro passato, fatto d’infedeltà e di perdite di tempo.

Nella prima lettura il popolo prende coscienza della sua responsabilità, di fronte a Dio; riascoltando questa accorata preghiera, noi ascoltatori del terzo millennio ci rendiamo conto dell’irresponsabilità della nostra vita: ci dimentichiamo, o vogliamo dimenticare, che le nostre azioni hanno un peso, una conseguenza, che prima o poi ci viene chiesto un rendiconto. La vigilanza si oppone al lasciarsi andare e all’indifferenza. Qui sta la grande opportunità offerta dalla fede e da questo tempo privilegiato: se si accetta di fare verità nella nostra vita, si aprirà davanti a noi un nuovo presente e un nuovo futuro. Non si può iniziare questo cammino senza riconoscere questo peccato.

La seconda lettura ci mostra il presente di una comunità che si è lasciata contagiare dall’annuncio di Gesù: in essa regna la gratitudine («Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi»). I Corinzi sono stati liberati dal peccato, cioè sono liberi dall’irresponsabilità egoistica, e possono vivere in questa perenne gratitudine. Il dono ricevuto non viene disperso, ma viene custodito, nell’attesa del «giorno del Signore nostro Gesù Cristo». Ogni domenica noi celebriamo la nostra vita responsabile nelle parole che pronunciamo solennemente: «Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta».

La parabola del padrone lontano e dei servi è immagine del rapporto con Gesù Risorto: presenza e assenza insieme. L’assenza ha il risvolto positivo di coinvolgere e suscitare la nostra libertà. Se c’è una relazione di affetto e fiducia, diventa possibile per il servo incaricato restare sveglio; altrimenti, se prevalesse unicamente la paura della punizione, prima o poi il ritardo del padrone porterebbe al cedimento e alla ricerca del proprio interesse.

 

Sia lodato Gesù Cristo.