Messa della notte

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce». La vita, la memoria, la storia del popolo d’Israele erano fortemente compromessi dal dominio del popolo assiro. Fu un periodo di grande crisi per la reale perdita della propria identità nella quale la dinastia davidica correva il serio pericolo di scomparire per sempre e, insieme ad essa, la promessa di fedeltà fatta a Davide suo servo: «Io susciterò un discendente dopo di te […] e renderò stabile il suo regno». Anche noi oggi corriamo il serio pericolo di perdere la nostra identità di cristiani, portatori della gioia dell’incontro con Dio. È un pericolo che non proviene più da una potenza esterna, ma dalle dominanti interne all’uomo che ci fanno perdere la memoria di Dio e non ci permettono più di riconoscere la sua opera, che oggi compie in noi.

Quando Dio viene incontro all’uomo, di solito è notte.

Oggi come allora non ha paura di entrare nelle nostre tenebre e zone d’ombra. Abbiamo anche l’impressione di vivere in un tempo nel quale si estendono le tenebre intorno a noi. Le notizie drammatiche e dolorose che quotidianamente viviamo sembrano smentire ogni speranza e ogni promessa di un «Emmanuele»: Dio con noi.

Non spetta a noi giudicare questi tempi difficili ma possiamo decidere che cosa fare con il tempo che ci è stato concesso. È il tempo in cui siamo stati chiamati a decidere di accogliere Gesù nella nostra vita e di lasciarci avvolgere dalla sua luce e dal suo amore: «È apparsa la grazia di Dio».

Esiste un’altra terra tenebrosa, più terribile e più agghiacciante al centro stesso del nostro cuore. È proprio lì che l’usura del tempo, la delusione della fede che non corrisponde alle nostre idee, il sentimento d’impotenza di fronte a fatti tragici nella nostra vita sembrano soffocare quei germi di speranza seminati in noi.

Nuovi idoli serpeggiano in noi: indifferenza alla fede, pretesa di non avere bisogno di essere salvati, fatica nel riconoscere i propri peccati e di aver bisogno di conversione, celebrare il Natale senza la mediazione della Chiesa, i sacramenti vissuti solo per un nostro bisogno affettivo, la mancanza di comunione all’interno della comunità a volte disgregata da gruppi autoreferenziali, la fatica della trasmissione e dell’educazione alla fede all’interno delle famiglie. Eppure in questo terreno arido e deserto del nostro cuore, nel quale siamo tentati di relegare Gesù come una sovrastruttura umana che non incide più sulla vita reale dell’uomo, Dio ha deciso di venire tra di noi e in noi.

Noi pensiamo e crediamo che ci debbano essere molte condizioni esterne favorevoli perché Dio Padre nel suo Figlio Gesù possa venire in noi. Ma la notte di Natale ci offre prove esattamente contrarie; per venire dentro di noi Dio non ha bisogno che di un’unica condizione: ha bisogno della nostra povertà, ha bisogno della nostra notte come quella di venti secoli fa a Betlemme, come quella dei pastori. È proprio perché erano considerati impuri, rozzi, anche ladri, proprio perché non erano degni di stare di fronte a Dio che viene rivolto loro l’annuncio gioioso della nascita del Messia.

Il Natale non è uno spettacolo al quale assistere per esaltare i nostri sentimenti, per commuoverci di fronte alla sua umiltà e povertà, ma è un evento da vivere: è la comunicazione di un atto d’amore per l’umanità.

Non è tanto il Natale del Signore, ma quello della salvezza. Non è tanto la manifestazione di Gesù, ma la comparsa della Grazia che ci santifica. Gesù viene adagiato non a caso in una mangiatoia: ogni domenica viene deposto sull’altare per essere mangiato. Questo oggi è il segno che viene offerto a noi dall’angelo.

Oggi dobbiamo essere doppiamente felici: nasce lui ma rinasco anch’io.

«La luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato gli uomini e le donne, li ha avvolti di luce. Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la carità»

Benedetto XVI, omelia della notte di Natale 2006

Sia lodato Gesù Cristo.

Messa del giorno

In questo vangelo non sentiamo parlare di pastori, di Maria e Giuseppe, dei magi, della stella. Si cambia punto di vista non più dal basso, ma dall’alto, dal punto di vista di Dio stesso. Non celebriamo semplicemente la nascita di un qualsiasi bambino o di un personaggio importante e neppure celebriamo il mistero dell’essere bambini.

Quel bambino è Dio e Giovanni ci spiega l’origine di questo bambino che era presso Dio ed era Dio. Il culmine di questa contemplazione di Dio è inimmaginabile per l’uomo: «Il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Quel sogno impossibile dell’uomo di vedere Dio ora si compie: Dio è veramente venuto tra noi. Quel bambino che è Dio si è caricato della nostra umanità per donarci la sua salvezza.

Dio dovrebbe essere evidente a tutti, eppure alcuni non lo riconoscono; cioè lo possono rifiutare perché Dio non s’impone a noi con l’evidenza e l’appariscenza, affinché lo possiamo scegliere senza costrizione e senza prove. Anzi la più grande prova Dio ce l’ha già donata: spetta a noi aderire liberamente. Oggi Gesù continua a piantare la sua tenda in mezzo a noi con l’Eucaristia, ma vuole continuare a piantare la sua tenda nel nascondimento del nostro cuore.

In che cosa consiste la salvezza nella persona di Gesù? Nel raggiungere la nostra vera umanità, la nostra pienezza, la nostra vera realizzazione. È il desiderio di essere finalmente se stessi, liberi dai nostri idoli che ci alienano da noi stessi deturpando la nostra vera immagine. Questo cammino non lo possiamo percorrere da soli perché lungo il tragitto ci scontriamo con tre ostacoli che solo Dio può eliminare: la morte, il male, la fatalità.

Dio ci dice che la morte non sarà un ostacolo assoluto nella nostra realizzazione. Perché celebriamo l’Eucaristia proprio a Natale? Per ricordarci che quel bambino è nato per assumere su di sé la morte, che ci fa tanto paura. Il gesto di Maria di avvolgere il bambino in fasce preannuncia già la sua sepoltura nel sepolcro. Il mistero della nascita si lega direttamente al mistero della morte e risurrezione.

Il male, il peccato, sia compiuto da noi che subito è l’altro grande ostacolo alla nostra realizzazione personale. «Io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Gesù viene oggi per dirci che noi, se lo vogliamo, non siamo più sotto la tirannia del peccato e del male, solo se ci mettiamo addosso il giogo dell’amore e se entriamo e rimaniamo all’interno del progetto che Dio ha voluto manifestare in Gesù Cristo con la Chiesa, anche lei consapevole del bisogno di purificazione.

La fatalità: Dio ci ha salvati dalla paura che la nostra vita sia guidata da un destino cieco e arbitrario. La nostra vita non dipende dalle stelle, dalle opere di fattucchieri, maghi, astrologi, non dipende da ciò che ci rende infelice oggi, da un nostro auto-determinismo che può portarci ad un certo punto a farla finita, ma la nostra vita appartiene a Dio, c’è un unico destino, un’unica predestinazione dell’uomo verso Gesù Cristo, non ci sono altre strade più o meno note.

La salvezza che mi raggiunge mi dice che io sono responsabile della mia vita e di quella degli altri e sarò chiamato a rimetterla nelle mani di colui che me l’ha donata.

Sia lodato Gesù Cristo.