Oggi veniamo attratti dalla grande umanità di Gesù. Un’umanità che è capace di parlare al nostro cuore, che lo dilata dalle ristrettezze e dai limiti che noi imponiamo a causa dei condizionamenti sociali e personali. La più grande impurità non risiede semplicemente nella società, negli altri, nelle istituzioni, in qualcosa che è al di fuori di noi, ma risiede nel cuore dell’uomo; la più grande impurità è quella di non sporcarsi le mani con gli altri, è quella della non-compassione, cioè il non essere capaci di soffrire insieme all’altro.
Siamo talmente abituati a vedere notizie tragiche che, per salvare la nostra «serenità» e il nostro benessere, diventiamo degli apatici (a-patos: senza passione). Ci giustifichiamo con il fatto che in fondo non ci possiamo far nulla, che abbiamo già le nostre sofferenze, i nostri problemi. Gesù è andato incontro a questo lebbroso contro ogni convenzione sociale e religiosa che ne ostacolava l’avvicinamento e l’incontro. Proviamo a pensare quanti condizionamenti ci ostacolano nell’incontrare determinate persone a partire dai pregiudizi, stereotipi, schemi mentali? La compassione si rifiuta di abbandonare l’altro alla solitudine della sua sofferenza e all’indifferenza. Oggi non ci sono più lebbrosi almeno vicino a noi, ma la legge dell’emarginazione continua ad essere presente nella nostra società.
Il lebbroso, ai tempi di Gesù, oltre ad essere allontanato dalla comunità e dal culto, portava l’onta anche della colpevolezza perché il lebbroso era il peccatore per eccellenza, dal momento che portava addosso il massimo dell’impurità: la sua carne era come quella di un morto, appunto «un morto che cammina». Spesso capita che molti fratelli oltre a subire delle ingiustizie siano oggetto anche di colpe non commesse. La vera guarigione per il lebbroso non è stata semplicemente il risanamento del corpo, ma l’essere uscito da quella situazione d’isolamento. La guarigione è rappresentata da quel tocco di Gesù che l’ha fatto sentire nuovamente un uomo; è il contatto umano che guarisce le nostre ferite interiori prima ancora di quelle fisiche.
San Paolo ci ricorda che tutto dobbiamo fare per la gloria di Dio, anche le azioni più semplici e ordinarie perché esse non diventino motivo di scandalo per i più deboli; cercare non il proprio interesse ma quello degli altri.
La guarigione che Gesù opera ha un prezzo da pagare: Gesù non poteva più entrare pubblicamente nelle città a causa del lebbroso guarito, ma se ne stava in luoghi deserti. Prendendo la sofferenza dell’altro, Gesù stesso diventa un emarginato, un lebbroso. È l’inizio di un percorso che lo porterà a diventare l’escluso per eccellenza, il rifiuto della società, il lebbroso emaciato nel corpo e nello spirito. Rimanendo coinvolti con gli altri, sporcandosi in prima linea le mani, c’è sempre il rischio di esporsi a quella famosa legge dell’emarginazione o per lo meno dell’incomprensione da parte degli altri.
Questa la testimonianza di Vinicio, affetto da neurofibromatosi:
«Le mani del Papa sono così morbide… Morbide e bellissime. E il suo sorriso limpido e aperto. Ma la cosa che più mi ha colpito è che non sia stato lì a pensarci se abbracciarmi o meno. Io non sono contagioso, ma lui non lo sapeva. Però l’ha fatto e basta: mi ha accarezzato tutto il viso, e mentre lo faceva sentivo solo amore».
Sia lodato Gesù Cristo.