Il colore viola della penitenza e della lotta lascia il posto al colore rosaceo che ci fa intravedere la meta delle festività pasquali, che fra due settimane inizieremo con la Domenica delle palme, in cui la casula portata dal sacerdote si tingerà di rosso ad indicare l’apice dell’amore raggiunto da Dio per l’umanità. In questa domenica si esalta già questa misericordia, questo amore incondizionato per l’umanità.

La liturgia della Parola ci lascia entrare in questo grande mistero: dove noi non siamo capaci di vedere una via di fuga, un’àncora di salvezza, dove noi siamo portati a condannare, a giudicare, a far prevalere l’uomo vecchio, ad auto-accusarci per le nostre incapacità di amare ed emendare i nostri difetti, lì Gesù porta la novità della riconciliazione e del riscatto, per cui anche il nemico può essere amato, il peccatore perdonato, ogni persona è chiamata ad essere rinnovata e guarita. L’esperienza del popolo in esilio ci narra la storia del disprezzo verso Dio, che continuamente chiamava il suo popolo alla conversione; è la narrazione di una escalation drammatica di rifiuto su rifiuto degli inviti di Dio alla conversione. Nonostante tutto, Dio guarda al suo amore e invia il suo eletto, Ciro, per far ritornare il popolo dall’esilio. Dio non teme il nostro cuore indurito dal male e dal peccato: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Non è la punizione, non è la condanna a volgere il nostro cuore a Dio, ma la sua tenerezza, il suo amore viscerale, la sua pazienza, la sua attesa serena. Se nel serpente innalzato il credente vedeva la salvezza riconoscendo il suo peccato, nel Cristo innalzato il credente vede la misericordia di Dio che perdona i suoi peccati in modo unilaterale: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo».

Il Papa, non a caso, alla vigilia di questa IV domenica di Quaresima ha indetto un anno santo della misericordia: «Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Questo anno santo inizierà nella prossima solennità dell'Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, domenica di Nostro Signore Gesù Cristo, re dell'universo e volto vivo della misericordia del Padre».

Oggi più che mai la Chiesa annuncia questa misericordia perché non è ancora accettata, accolta soprattutto da coloro che pensano di non aver bisogno di perdono e di misericordia. Capita qualche volta di trovare persone che manifestano un disagio, una pena del cuore, una crisi esistenziale ma non riescono a dare un nome o un volto a questo disagio interiore. Piuttosto preferiscono risolvere da sé questo disagio fidandosi di persone sconosciute, auspicando a ritrovare quella pace e quella serenità perdute. Forse non si accorgono che l’unica cosa da fare è aprirsi alla misericordia di Dio e abbandonarsi al suo amore. Noi pretendiamo di sentirci prima a posto per poter andare eventualmente da Gesù, un po’ come ha fatto Nicodemo che andò di notte da Gesù: riconosceva che Gesù veniva da Dio ma voleva rimanere sulle sue posizioni, sulle sue convinzioni senza capire che doveva «rinascere dall’alto», cioè credere in Gesù e alle sue opere.

Molte volte ci auto-condanniamo a rimanere nel buio e questo è il giudizio di cui ci parla Giovanni: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito più le tenebre che la luce». L’unica opera necessaria, ci dice Giovanni, è credere in Colui che Egli ha mandato: ossia Gesù. Noi non andiamo a Gesù per il semplice fatto che abbiamo paura che le nostre opere vengano riprovate, che vengano cioè condannate, biasimate. È per questo che non sentiamo il bisogno di andare da Gesù: perché abbiamo paura che l’immagine di noi stessi venga scalfita, rimessa in discussione.

Facciamo in modo che l’esperienza della confessione comunitaria, il prossimo 26 marzo, non sia un’occasione solo per i soliti o per alcuni, ma un’esperienza forte di rinnovamento, di risurrezione per tutti.


Sia lodato Gesù Cristo.