Il Triduo Santo inizia con questa celebrazione solenne: il memoriale dell’ultima cena del Signore; è ciò che noi compiamo ogni domenica ed è la ripresentazione di questo rito istituito da Gesù Cristo: veniamo trasferiti nel cenacolo anche noi travalicando il tempo e lo spazio, diventiamo contemporanei di Gesù insieme con gli apostoli per rivivere l’appuntamento con la storia che ha cambiato le sorti dell’umanità. «Senza Eucaristia noi non possiamo vivere», dicevano i primi cristiani; non possiamo più fare a meno di questo dono immenso che è fonte di benedizione e di salvezza non solo per noi ma per tutto il genere umano. Anche se dovesse essere celebrata una sola e singola messa in questo mondo essa saprebbe portare pace e salvezza al mondo intero; limita il male perché le tenebre non prevalgano sulla vita degli uomini.

La prima lettura è il racconto della liberazione del popolo d’Israele dalla dura schiavitù dell’Egitto. Prima della liberazione esteriore il popolo è chiamato da Dio a celebrare con un rito questa libertà. Libertà e celebrazione sono strettamente congiunti tra di loro. Il rito permette di ricordare, fare memoria di questa liberazione, perché senza rito l’uomo potrebbe arrogarsi il merito di essere stato lui a liberarsi da solo. Attraverso il rito si ricorderanno della loro appartenenza e della loro dipendenza da Dio; si ricorderanno che loro sono stati schiavi e che non dovranno mai diventare da popolo liberato a popolo oppressore; il rito serve per ricordare di non ritornare ad essere schiavi in Egitto una volta entrati in possesso della Terra promessa.

Gesù, attraverso l’ultima cena, compie il cammino di liberazione dell’Esodo. Celebrare l’Eucaristia significa anche per noi ricordare di non ritornare nel regno del peccato e della morte una volta attraversate le acque del battesimo. Celebrare l’Eucaristia significa confessare che la nostra vita dipende da Dio e dalla sua misericordia. Pietro vorrebbe impedire al Signore di lavargli i piedi: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Pietro vorrebbe una liberazione senza purificazione, un agire senza celebrare il dono del servizio e della misericordia. Pietro non vuole in definitiva dipendere da Gesù, ma è lui che vuole dimostrare che è capace a servire. Anche noi possiamo cadere in questo errore: la pretesa di sentirci liberi senza celebrare la nostra liberazione; la pretesa di vivere da cristiani, agire nella libertà, andare verso gli altri senza il dono dell’Eucaristia. Partecipare è più importante che fare; prima di pensare che cosa dobbiamo fare noi per lui, c’invita a pensare a che cosa lui fa per noi. «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, lo capirai dopo». Che cosa ancora dobbiamo capire dell’Eucaristia? Qual è il passaggio da compiere? Non sono io che vado a messa in chiesa, ma la messa che viene via con me a casa mia. «La messa è finita, andate in pace!», che, come noi la intendiamo solitamente, potrebbe avere questo significato: «L’attesa è giunta al termine, tirate un sospiro di sollievo, ci vediamo la prossima volta»; in realtà è una traduzione non idonea dal latino che dice: «Ite, missa est!» che tradotto significa: «Andate, ora è messa!». L’Eucaristia non coincide semplicemente con il rito, non è una parentesi chiusa ma aperta alla vita che ha due significati: «Adesso che hai celebrato finalmente hai capito, ora puoi andare» e «Adesso che hai celebrato non disperdere questo dono perché adesso inizia il bello».


Sia lodato Gesù Cristo.