Chi di noi non rimarrebbe affascinato e attratto dall’immagine del pastore con le sue pecore, mentre le conduce ai pascoli? È un’immagine di estrema tenerezza che infonde pace e serenità. Le pecore si sentono attratte da quell’uomo che le conduce sapendo che, dove va lui, troveranno cibo e acqua, non saranno preda dei lupi perché sono unite e stanno insieme. I comandi del pastore e la sua voce sono rassicuranti, le pecore si fidano, ormai hanno imparato a distinguere la sua tra mille voci.

La Pasqua è proprio questo. Noi siamo il frutto oggi del sacrificio di quel Bel Pastore, il Signore Gesù, che ci ha raccolti nell’ovile della Chiesa. Sentirci attratti, accolti da questa voce calda e accogliente che è la Parola di Dio che ascoltiamo e che risuona continuamente nelle nostre orecchie. Il lupo ha il terrore del gregge unito e della comunione che regna all’interno di esso perché diventa inerme. Quando ci si stacca dal gregge si è facile preda del lupo perché il gregge disperso è più vulnerabile e la singola pecora può essere rapita e quindi trovare la morte. Quando, invece, si è uniti sotto la protezione del pastore, lui si frappone tra noi e l’avversario e ci può difendere, anzi s’immola lui al posto nostro; è lui che viene rapito, sbranato, ma solo lui può riprendersi quella vita che gli è stata tolta e rubata. Noi abbiamo paura di perdere la vita perché non abbiamo il potere di riappropriarci della vita da soli, mentre il buon Pastore non ha paura perché la può riprendere quando vuole. Per non essere facile preda del peccato e del male abbiamo bisogno di stare qui, di ritrovarci; l’avversario ha terrore di questo perché, quando ci sono cristiani uniti sotto la guida del pastore (per noi durante l’Eucaristia), egli non può nulla. Anche nella preghiera eucaristica preghiamo per coloro che sono dispersi perché diventiamo in Cristo un solo gregge con un solo pastore: «Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli, ovunque dispersi».

La dispersione, la disunione, l’illusione di vivere fedelmente la propria fede anche senza l’appartenenza al gregge falsifica il nostro rapporto con il Signore. Tutto si gioca sul piano della relazione, non del ruolo, né della funzione; sul piano dell’amore e non del dovere: «Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici». Dov’è che noi diamo prima di tutto la nostra vita, come il Signore, per i fratelli? Nell’essere uniti tra di noi, nel sentirci chiamati, convocati per stare alla sua presenza. Quando ci ritroviamo per la mensa eucaristica domenicale non diciamo forse al nostro fratello: tu m’interessi? La rivelazione di Gesù come buon Pastore rivela anche la qualità della pecora. Noi conosciamo il Signore e ne ascoltiamo la voce con il fratello e la sorella che abbiamo accanto. Se davvero ascoltiamo e conosciamo il Signore non possiamo più ignorare la persona che abbiamo accanto, il nostro simile: «Diventeranno un solo gregge e un solo pastore».

«Non c’è altro nome, sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati». Gesù ha voluto la sua Chiesa come segno di unità e sacramento di salvezza per tutto il genere umano. È chiaro che chiunque è salvato, lo è in virtù di Cristo: non vi è altro mediatore. Sia chi ne è cosciente, sia chi non lo è, chi è toccato dalla grazia lo è grazie alla mediazione di Cristo. La Chiesa, ciascuno di noi, ha proprio questo compito di rendere coscienti, soprattutto i suoi figli dispersi, di questa volontà di salvezza di Gesù: «Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».


Sia lodato Gesù Cristo.