«Io sono la vera vite»

L’immagine della vite era molto conosciuta nella tradizione di Israele. Il popolo era rappresentato come una vite che produce uva, ma il fallimento di questa vite si esprime in uva acerba. Mentre Dio si aspettava frutti buoni, essa ha prodotto uva acida, immangiabile e inutilizzabile per produrre vino buono. La storia di peccato e d’infedeltà del popolo, denunciata dai profeti, non ha corrisposto alle attese di Dio. La vite degli uomini da sola non può che produrre acini acerbi che non giungono alla piena maturazione. Gesù rappresenta quell’umanità nuova che è stata capace di portare frutti buoni. Non siamo noi, ma è lui la vera vite su cui noi ci siamo innestati come tralci; è solo attraverso di lui, la sua umanità e divinità, che possiamo portare frutto, perché senza di lui non possiamo fare nulla.

Siamo convinti che senza di lui noi non siamo in grado di amare? Di far crescere la nostra fede, la nostra umanità? Di ricevere la pienezza della vita e della felicità?

Rimanere in lui non è un fatto statico, non è l’esperienza di un momento, fissato nel tempo, ma è un’esperienza dinamica, di perseveranza e di comunione, perché il Padre, l’agricoltore, ci pota perché possiamo portare frutto. Non basta essere stati innestati nella vite attraverso il battesimo per sentirci attaccati alla vite, ma occorre che siamo potati, tagliati perché il tralcio sia stimolato a far crescere frutti più buoni e maturi. La potatura è qualcosa che fa male alla pianta ma risulta salutare. Così anche la nostra vita cristiana non possiamo viverla pacificamente, in modo indolore se questa non ci trasforma, non ci cambia, non ci permette di amare di più, non ci permette di diventare suoi discepoli: «Figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità».

Attraverso l’Eucaristia, la linfa di Gesù che scorre in noi è garantita, ma poi spetta al tralcio fare in modo che porti frutti di amore. Il rischio di non portare frutto è presente perché il tralcio può essere gettato via e bruciato. È questa la triste condizione in cui il cristiano può trovarsi: una triste sorpresa, con nostro grande rammarico. Molti cristiani pensano di vivere la loro vita come dei polloni: sapete che cos’è un pollone? È un ramo di una pianta che si sviluppa direttamente sul tronco, a volte anche direttamente sulla radice. È un ramo che non vuole stare sulla pianta insieme agli altri rami, ma nutrirsi ugualmente della linfa della pianta cercando di formare una nuova pianta autonoma. È la pretesa di vivere la comunione personale con il Signore, senza una vita ecclesiale: un esempio ci viene offerto dalla vita di san Paolo. Egli aveva incontrato il Signore sulla via di Damasco ma ha avuto bisogno della mediazione di Barnaba che lo conduce fino agli apostoli. Il rimanere in lui, nella sua Parola, nel suo amore, comporta anche uno stare con i fratelli nella vita comune, nella Chiesa.


Sia lodato Gesù Cristo.