La realtà dell’amore – ne siamo convinti tutti – è ciò che fa girare il mondo; è la forza senza la quale il mondo sarebbe destinato a finire in un istante. Tutto ha avuto inizio con un atto di amore gratuito, la nostra stessa vita, la nostra crescita, la nostra maturazione. Tutta la nostra esistenza è permeata di amore: amare e sentirci amati è la nostra più grande esigenza, il senso di ogni nostro sforzo e di ogni nostra fatica.
Eppure oggi scopriamo una verità in più alla quale solitamente non pensiamo: l’amore non è una realtà semplicemente appartenente alla sfera umana, ma appartiene prima di tutto a Dio: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi». Si tratta di riconoscere una precedenza di questo amore. Non è una prerogativa dell’uomo, ma di Dio. In questo sta la novità. In tutti i secoli precedenti l’uomo ha pensato che l’amore fosse qualcosa di sua proprietà, che nascesse spontaneamente nel suo cuore. L’amore prima che un dare è un ricevere. Noi non potremmo amare nessuno se non avessimo avuto qualcuno, i nostri genitori, amici che ce l’hanno trasmesso, non solo a parole ma con i fatti, con la loro presenza, con il loro sacrificio. Una trasmissione che avviene quasi per osmosi, semplicemente stando a contatto con la persona che ti ama. Così Dio Padre ha fatto per noi: «Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui». L’amore di Dio si è trasmesso attraverso il contatto con la carne, l’umanità di Gesù. Di questo contatto di amore possiamo beneficiare anche noi con l’Eucaristia che è il prolungamento della sua incarnazione, la presenza del suo corpo (la sua umanità) e del suo sangue (la sua vita).
La Chiesa non è una realtà di uomini e donne che assumono un ruolo, quello dei servi, ma di amici del Signore che vivono una relazione. Infatti, il servo non sa e non capisce ciò che il padrone gli fa fare. Fa semplicemente quello che gli viene ordinato senza un coinvolgimento personale. Soprattutto «il servo non rimane per sempre nella casa del padrone» come Giovanni afferma, non persevera, non gli interessa rimanere con lui perché alla prima occasione fugge, si allontana. La vita cristiana è tale solo se la si vive nella libertà. Solo il discepolo che ha conosciuto l’amore rimane nell’amore. Chi non rimane fedele e persevera in questo amore è perché non ha ancora conosciuto Lui. La discriminante tra l’essere servi e l’essere amici consiste nella confidenza della sua parola, di chi rende partecipe l’altro dei suoi segreti. È solo in questo regime di amicizia che possiamo comprendere il legame tra comando e amore. L’amore non è mai una questione di spontaneità, di emotività, ma è una consegna che ci è stata affidata da Gesù. Proprio perché non appartiene a noi, l’amore può essere comandato. Solo in questa amicizia possiamo capire che l’amore non è una nostra conquista, ma un dono da portare a tutti perché a nostra volta abbiamo sperimentato l’amore più grande: «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
Sia lodato Gesù Cristo.