«Fratelli, l’amore di Cristo ci possiede». Ecco in poche parole l’esperienza cristiana, ecco la scoperta sensazionale di Paolo che ci rivela questa verità. Non siamo noi che cerchiamo di amare, che ricerchiamo l’amore, che dobbiamo farci spazio per conquistarlo, ma è vero il contrario: noi siamo posseduti dall’amore. Il compito che ci propone Dio consiste nel renderci conto che Qualcuno ci precede, anzi siamo stati catturati nell’orbita di questo amore, come avviene per la forza gravitazionale dei pianeti. Sappiamo bene, però, che questa certezza è sempre messa in discussione dalle continue tempeste della vita. La vita è come una traversata all’altra parte della riva, alla terra ferma: l’acqua è forse l’elemento più instabile che si trova in natura, sul quale non ci è permesso di camminare come sulla terra ferma, ma dobbiamo rimanere a galla per non annegare. Non c’è nulla di più instabile della nostra vita: basta che si agitino un po’ le acque per perdere la nostra fiducia e piombare nell’angoscia, nella paura e nel turbamento.
Come poter continuare a credere in questo amore che ci possiede? Dobbiamo capire di quale amore si tratta. Prima di tutto non è l’amore quello semplicemente umano che noi vorremmo sempre: l’amore sicuro, certo, controllabile, ma è un amore che chiede fiducia anche nelle prove della vita. La fede si configura come passaggio dalla paura alla fiducia, dall’essere centrati su di sé all’apertura a Cristo Signore, dal timore paralizzante della morte e della paura di perdere la vita alla fiducia incondizionata che suscita speranza anche nel pieno dell’angoscia e dei gorghi della morte. È il paradosso dell’amore di Dio: ci chiede un totale abbandono in lui con il rischio del fallimento e del naufragio. Su quali certezze si fonda la nostra speranza? Unicamente sulla promessa di questo amore che ci avvolge e ci accompagna per sempre! È vero che il Signore dorme, non sembra curarsi che noi moriamo – ecco la nostra antenata paura e l’accusa che noi gli rivolgiamo sempre! – ma è lì sulla barca, insieme a noi, non è in un altro luogo: e in questo sta la rivelazione! Egli condivide la mia situazione di precarietà e di angoscia, il mio essere votato alla morte. Gesù è solidale con me e m’insegna a non aver paura, non ad addormentarmi, ma ad osservarlo, a continuare la traversata nonostante le alte onde e il mare in burrasca. Il suo sonno è un invito alla fiducia e non alla resa.
Un altro aspetto di questa paura mi sembra importante sottolineare: non solo ci blocca nella fiducia in lui ma ci rinchiude anche nella nostra solitudine. Nel momento della tempesta ognuno pensa a salvare la propria pelle. La mancanza di fede diviene anche mancanza di solidarietà. La paura ci blocca a tal punto da non farci vedere la realtà nella sua oggettività, non ci accorgiamo che tutti siamo sulla stessa barca e che tutti siamo nelle stesse difficoltà. San Paolo esprime bene questa solidarietà: uno è morto per tutti perché tutti potessimo ricevere la vita. Se siamo consapevoli che Gesù ha donato la sua vita per noi non possiamo più vivere solo per noi stessi ma per Lui che è morto ed è risorto. Da questa considerazione san Paolo trae le conseguenze: «Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana». Considerare gli altri alla maniera umana significa considerare gli altri come possibili concorrenti alla mia felicità, degli avversari; significa non vedere nell’uomo e nella donna che ho di fronte un fratello e una sorella per i quali il Signore Gesù è morto ed è risorto: «Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove».
Sia lodato Gesù Cristo.