L’arte narrativa di Marco ci fa gustare fino in fondo questi due episodi di guarigione che si intrecciano l’uno nell’altro e ci racconta due modi differenti di avvicinarci a Gesù. Quello che interessa a Gesù è l’incontro nella fede, il contatto con la sua persona. Senza fede non possiamo piacere a Gesù e non possiamo incontrarlo.

L’episodio dell’emorroissa ci racconta una fede imperfetta, quasi superstiziosa. Sente parlare di Gesù come taumaturgo e va da lui come ultima possibilità. Pensa di «strappare» a Gesù, di nascosto, il suo potere di risanare. Il suo coraggio è stato non tanto nel toccare il lembo del mantello, ma nell’essersi esposta a un violento rifiuto da parte della gente, per il fatto che era impura; ella, infatti, doveva tenersi lontana da chiunque si presentasse sul suo cammino. Gesù si accorge solo del suo tocco e non di quello degli altri, tanto che i suoi discepoli si stupiscono della domanda fatta dal maestro: «Chi mi ha toccato?». Una potenza (dynamis) uscì da lui. È la potenza, non di una magia, ma dello Spirito Santo. La donna riceve più di quello che si aspettava, l’incontro con il Signore, la sua parola che salva: «La tua fede ti ha salvato».

Qual è il nostro modo di «toccare», di accostarci al Signore? Anche noi ci accostiamo al suo corpo, ma con quale finalità? Gesù non disdegna la nostra fede imperfetta; infatti, tutti possiamo accostarci a questo sacramento della vita e della fede, ma vuole che cerchiamo un incontro personale con lui, che ci lasciamo coinvolgere dalla sua persona sempre di più. Possiamo comunicarci per abitudine, per assuefazione, solo in determinate circostanze occasionali, per scaramanzia, per rassicurare la nostra coscienza, per ricevere vita da Gesù ma senza un incontro che cambia, per soddisfare i nostri bisogni ma senza aver niente a che fare con Lui.

Qual è il mio modo di «toccare» Gesù? Egli vuole salvarci interamente, anima e corpo, vuole salvare tutta la nostra persona, non solo una parte. Gesù esige da noi la fede in lui e la fede implica tutta la nostra vita. Una fede che deve continuare a sussistere anche di fronte al mistero della morte. Mentre i parenti suggeriscono a Giairo di non scomodare più il maestro – una fede semplicemente strumentale – Gesù invita il capo della sinagoga a continuare ad avere fede. La forza della fede in Gesù supera il mistero della morte, intesa, prima di tutto, nel senso di separazione da Dio, che comporta l’esclusione dalla vita eterna. Il comando di «darle da mangiare» è un’allusione all’Eucaristia, invita ogni credente ad accostarsi al Pane della vita non per non morire mai su questa terra, ma per non perdere la vita eterna, cioè la comunione con Dio e con gli uomini: «Questa è la vita eterna: che conoscano te e colui che hai mandato, il tuo figlio Gesù». Conoscere nella Bibbia e sinonimo di «entrare in relazione», «condividere», «comunicare».

Gesù è venuto per rassicurarci attraverso il dono della fede che il progetto di Dio per l’umanità non è venuto mai meno: «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto ad immagine della propria natura». Ma l’uomo ha preferito la morte, cioè il peccato, la lontananza da Dio e ne fanno esperienza tutti coloro che stanno dalla parte del diavolo, l’invidioso per eccellenza perché non sopporta l’unico bene per l’uomo: l’unione con Dio. Gesù è venuto per ripristinare un equilibrio compromesso dal rifiuto dell’uomo donandoci la sua ricchezza: se stesso nell’Eucaristia. «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Con questo sacramento viene continuamente ristabilita quella comunione perfetta che esisteva prima tra Dio e gli uomini e, siccome siamo sempre inclini al male e ad abbandonare Dio, abbiamo sempre bisogno di questa medicina che ci guarisce dagli assalti del maligno.


Sia lodato Gesù Cristo