L’inizio dell’anno liturgico è segnato da un oracolo di Geremia che annuncia una promessa di bene che Dio farà nei confronti del suo popolo. Il tempo di avvento è il tempo in cui si annuncia una promessa di bene che ci viene incontro; l’uomo è concepito, è fatto per aprirsi con fiducia al futuro sapendo che Dio gli sta venendo incontro. Nonostante tante cattive notizie, anzi all’interno di esse, Dio promette un futuro di bene, un tempo nuovo. Egli non si colloca mai alla fine di un tempo nella storia degli uomini, ma lascia intravedere sempre un nuovo inizio, una nuova speranza. Quando per noi i tempi sono chiusi, definitivi, irreparabili, Dio è capace di vedere, nei nostri tempi morti e bui, tempi di un nuovo inizio; quando non ci si aspetta nulla di nuovo Dio è capace di far nascere un germoglio di speranza: «Quando incominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Quando tutto sembra irreparabilmente perduto allora diventa occasione per rimetterci in cammino ed alzare il capo, cioè ritrovare quella dignità perduta. Questa azione simbolica vuol affermare la capacità di non rimanere ripiegati su stessi, ma aprire il nostro sguardo all’orizzonte che è più vasto delle nostre corte vedute. Cos’è che ci tiene ripiegati su noi stessi? Quali sono le nostre corte vedute? Quali sono i nemici contro cui combattere? Essenzialmente sono tre. Sono quelle che ci vengono indicate dal Vangelo di oggi: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita».

- Le dissipazioni: significano disperdere il patrimonio di fede che abbiamo acquisito, dilapidare la nostra vita cristiana, non custodirla e proteggerla. Per non dissipare questo patrimonio Gesù ci dice di conservarlo attraverso la preghiera. La preghiera è l’indice del nostro stato di conservazione. Potrebbe essere questa la domanda che ci può accompagnare nella nostra meditazione: Che cosa ho trascurato o che cosa sto trascurando nella mia vita? Che cosa ho di più prezioso da difendere?

- Le ubriachezze: quante cose intontiscono la nostra vita e ce la rendono davvero più pesante? Noi siamo presi da cose piccole, poco importanti, quisquilie; uno trascorre la vita facendo mille cose senza unificare la propria esistenza. Quando un atleta vuole raggiungere lo scopo per cui si allena, semplifica la propria vita, elimina tutto quello che, appunto, appesantisce il suo allenamento. L’arte della vita non consiste nel fare tante cose, ma poche cose, quelle più importanti. Chi si ubriaca rende appunto la sua vita inutile perché riempita di cose non necessarie che non lo aiutano a progredire nell’amore, come ci dice anche san Paolo: «comportatevi in modo da piacere a Dio». La domanda allora è la seguente: che cosa ci intontisce? Quali sono le «ubriacature» della vita?

- Gli affanni della vita: l’affanno delle ricchezze, dei beni, di cose superflue. Mi sto affannando per che cosa? Sto forse affannandomi troppo per cose che poi mi verranno tolte? Oppure mi affanno, lotto, combatto per ricevere il premio della vita eterna? In che cosa spreco troppo tempo? Dove mi sembra di buttare tutte le mie forze ed energie, e alla fine, con quale risultato?

Tutta la nostra vita è all’insegna di un incontro perché quel giorno non ci piombi addosso all’improvviso. Se noi nella nostra vita non attendiamo nessuno, ci riempiamo di cose inutili e quando avverrà questo incontro inevitabile noi non sapremmo davvero che cosa lasciare e metteremo il Signore tra le tante cose che abbiamo ammassato su questa terra. Un buon viaggiatore, soprattutto chi è abituato a viaggiare, sa che è inutile portarsi dietro valigie e valigie di cose che poi non utilizzerà mai. Colui che viaggia porta solo ciò che è sicuro di utilizzare. La vita di un cristiano è proprio come quella di un viaggiatore: porta con sé solo quello che è sicuro di utilizzare all’appuntamento con il Signore.

 

Sia lodato Gesù Cristo.