Il libro dell’esodo ci racconta lo straordinario incontro di Mosè con Dio attraverso il roveto ardente. È il momento della chiamata, della vocazione di Mosè per andare a liberare il suo popolo dalla schiavitù egiziana. Mosè fino allora si era ricostruito una vita. Era stato principe d’Egitto, si era interessato del dolore dei suoi fratelli, ma era stato costretto a fuggire per via dell’omicidio di un egiziano; anche i suoi fratelli di sangue lo avevano rifiutato come capo e guida: “chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di potermi uccidere, come hai ucciso l’egiziano?”. Mosè rinuncia nel suo proposito di aiutare il popolo e fugge via, sposa la figlia di un pastore, diventa lui stesso pastore: ormai è un ricordo lontano che l’ha fatto soffrire molto, è stato un totale fallimento. Ormai è acqua passata. Dio dopo tanti anni lo chiama e lo invita a riprendere in mano quel suo dolore e quello dei suoi fratelli, ma con una differenza: è Dio che lo chiama, gli dona la vocazione e non è più lui a prendersi l’iniziativa di risolvere i problemi della sua gente.

Il Vangelo ci narra un fatto di cronaca nera che viene presentato a Gesù: si trattava di un fatto di sangue eclatante che aveva colpito l’immaginario collettivo. Probabilmente Pilato ordinò una rappresaglia nei confronti degli ebrei e fece uccidere di spada coloro che stavano compiendo un sacrificio nel Tempio dove il sangue degli agnelli si mischiò con quello di coloro che offrivano il sacrificio. Sicuramente un sacrilegio che venne interpretato come una sorta di punizione divina. Se quelle persone erano state uccise nel momento della massima comunione con Dio voleva dire che Egli non gradiva la loro offerta perché avevano compiuto chissà quale grave peccato al cospetto di Dio. La stessa cosa vale anche per l’episodio della torre crollata. Gesù afferma che non c’è alcun nesso tra la sorte tragica e il peccato commesso. Anzi quei fatti diventano un avvertimento personale alla propria vita, un invito alla conversione, leggere i fatti esterni a noi per invitarci a cambiare vita. “Perire allo stesso modo” non significa la stessa fine tragica, ma finire la vita senza senso com’era senza senso la fine tragica di quelle persone. Quante volte anche noi di fronte a fatti di cronaca personale e mondiale andiamo a trovare l’origine, la causa, magari ci lamentiamo, ma poi non siamo in grado di trarre le conseguenze per la nostra vita personale? Quanti fatti rimangono per noi inascoltati che non c’inducono a ripensare la nostra vita? Questi fatti dolorosi sono una chiamata, una vocazione di Dio, una missione ad andare incontro alle fatiche, alle sofferenze degli uomini di oggi. I fatti concreti sono un monito, un invito alla conversione, a cambiare mentalità, modo di pensare. Anche san Paolo ci dice che quei fatti che capitarono al Popolo di Dio nel deserto sono un esempio per noi per non rischiare di camminare invano nel deserto e poi alla fine non entrare nella terra promessa. Mosè sperimenta proprio questo: prendersi a cuore il dolore dei suoi fratelli e superare quel modo di vivere da bravo pastore che ci fa pensare di essere salvi da soli. Mosè che aveva chiuso i suoi occhi sul dolore è invitato a riaprirli di fronte al roveto ardente: un fuoco che brucia e non consuma. L’amore di Dio dice passione eterna nei confronti degli uomini che non si consuma mai. Un roveto lo sappiamo è fatto anche di spine, quindi un amore non è mai tale se non soffre.

Capiamo a questo punto anche la parabola che ci racconta Gesù: quel fico che deve portare frutti buoni siamo noi. Un albero che non porta frutto è inutile, non serve a nulla. Nonostante la ragionevolezza di abbattere quell’albero perché toglie spazio ad altri alberi che invece portano frutto sfruttando inutilmente il terreno, Gesù-vignaiolo usa pazienza, si prende cura di quell’albero, ci zappa attorno, mette il suo concime, non si rassegna all’evidenza dei fatti, desidera che porti frutto: sono i suoi continui tentativi per farci aprire gli occhi di fronte al nostro amore molte volte sterile. È la misericordia di Gesù, è in quest’anno giubilare che Gesù sta lavorando attorno a noi. Quali frutti stiamo facendo? Diamo un nome! Il limite di un anno che per noi equivale a tutta la vita dice la serietà dell’amore di Gesù che non può scendere a compromessi. Meglio passare per la sua misericordia che per il suo giudizio.


Sia lodato Gesù Cristo