Il testo della resurrezione di Lazzaro veniva letto nella chiesa antica per i catecumeni che si preparavano al battesimo attraverso il terzo scrutinio. Diventava già un preannuncio della resurrezione di Cristo, lasciava intravedere l’Opera che Dio Padre avrebbe compiuto nel suo Figlio Gesù. Siamo ormai giunti alle soglie della settimana santa che ci prepara più da vicino al mistero della passione, morte e resurrezione. La resurrezione di Lazzaro anticipa quella che sarà il nostro destino futuro che non sarà un semplice ritorno alla vita come molte volte noi sogniamo per i nostri cari defunti. La resurrezione di Gesù ci dice che Dio vuole darci infinitamente di più rispetto a quello che l’uomo può desiderare. Dio non ci da delle cure palliative, dei contentini, dei surrogati di vita ma raggiunge la radice del problema, là dove l’uomo non può compiere nulla, non può fare nulla. È significativo che Gesù pur potendo guarire Lazzaro dalla sua malattia sembra che ritardi la sua missione. Tanto e vero che Maria dice a Gesù: “se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” e i Giudei affermano: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?”. Non è anche questo il nostro pensiero, la nostra immagine di Dio che abbiamo? L’impressione è proprio quella di un Dio che non è capace o non vuole intervenire prima. Un Dio che è sempre in perenne ritardo rispetto ai nostri tempi. Noi viviamo in un tempo dove o prendi l’occasione al volo senza tanti ripensamenti oppure l’hai persa per sempre. Dio non ha fretta come noi, perché lui ci vuole educare in altro modo. Dio sembra aspettare in modo impassibile, quasi come uno spettatore affinché tutte le nostre certezze e sicurezze vengano meno. La nostra conversione non avviene quando Dio soddisfa i nostri desideri e le nostre richieste perché potremmo fermarci semplicemente ai doni di Dio senza arrivare al donatore. Forse possiamo anche illuderci che in fondo sia anche merito nostro essere usciti da una situazione compromettente. La nostra conversione inizia quando ci arrendiamo di fronte a Dio, quando diciamo: “non c’è più nulla da fare”. Noi volgiamo il nostro sguardo a Dio quando non abbiamo più munizioni. È lì che Dio interviene e ci parla. Il pianto di Maria non solo indica il nostro limite umano di fronte alla morte, ma rivela quello che c’è dentro ciascuno di noi, oserei dire che attraverso il nostro pianto si rivela la nostra vera umanità. La sofferenza è qualcosa di estremamente importante perché il nostro dolore ci mette direttamente in comunicazione con Dio, ci fa arrivare all’essenziale, ci fa contemplare la Sua gloria. “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Il fine ultimo di tutta la nostra vita è riconoscere la gloria di Dio, cioè la sua misericordia, il suo amore. È passare dai suoi doni al donatore. Le malattie di ogni specie che noi ci portiamo non conducono mai alla morte ma alla nostra glorificazione perché in noi si manifesti l’amore per Dio e per i fratelli. Dio non ci salva dalla morte ma per mezzo di essa. Il sogno irrealizzabile dell’uomo di aprire i sepolcri lo può compiere solo Dio: “Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe”. Non sono solo le nostre tombe materiali a rinchiuderci, ma anche situazioni di vita in cui ci sentiamo ingabbiati, circondati, imprigionati. Quando sentiamo che c’è qualcosa che è più grande di noi, che non sappiamo gestire, controllare, ci sentiamo magari schiacciati dalle fatiche, dalle sofferenze: ebbene Dio è colui che ci libera da tutti i nostri sepolcri se noi ci affidiamo a lui. Tutte queste prigioni servono perché noi possiamo di più amare, essere attenti agli altri e ai bisogni della gente. Dio non ci lascia nel nostro dolore, ma ci eleva nella dignità di figli di Dio.